IMPRESSIONI AMERICANE
Convalescenze a New York
Sono dovuto correre in tutta fretta a New York, dove mia figlia era impegnata in uno stage universitario. Ne è nato un racconto, illustrato in bianco e nero, con alcune immagini della città.
L'incipit del libro:
Se mai qualcuno un giorno mi chiederà qual è stata la più straordinaria notte che ho passato con una donna, gli risponderò: è stato a New York, era di aprile, nel 2015, disteso accanto a mia figlia a tirare lunghi sospiri di sollievo, mentre lei dormiva, dimessa da poco dall’ospedale.
La convinzione di poter scrivere qualcosa sull’esperienza americana che sta per cominciare arriva quasi subito. L’ora e mezza trascorsa in coda all’aeroporto per passare i controlli doganali è fatale. Troppe situazioni interessanti, troppe facce tutte così diverse, troppi suoni indecifrabili e un’atmosfera davvero nuova, un’atmosfera americana che ti fa venire la voglia di raccontarla ancor prima di averla vissuta.
Lo spirito non è quello giusto. Non c’è calma, non c’è rilassamento, non c’è nemmeno quel po’ di spirito d’avventura che si ha all’inizio di un viaggio, ma proprio per questo vale la pena concentrare l’attenzione su ciò che mi circonda. Ed è davvero tanto.
Il pensiero è fisso a quel pezzo di te ricoverato per qualche giorno in una clinica della città e appena dimesso. Un pensiero che ti indurisce lo stomaco e fa traballare la mente, che ti dà la sensazione di dover sempre mandare giù qualcosa senza aver ingoiato nulla, che ti fa tenere la mascella stretta e ti impedisce di concentrarti su qualsiasi altra cosa o persona.
Riesco a pensare alla montagna, al sudore, alla fatica, all’accettazione e al piacere della fatica come parti importanti dell’esperienza alpinistica. E penso alla paura che ho in montagna, così diversa da quella che provo adesso.
In montagna la paura è reverente timore di ciò che ti sta di fronte, è rispetto per un pericolo che vedi da vicino, che puoi valutare, ma che allenamento e passione riescono sempre ad annullare del tutto. E se non ci riescono hai sempre, o quasi sempre, la possibilità di tornare indietro. Lassù la paura è sfida cosciente e matura alla forza della montagna, qualcosa di dovuto.
In un aeroporto a pochi chilometri da Enrica la paura è molto simile a quella, nuova e incontrollabile, di quando, pochi giorni prima, i chilometri che ci separavano erano più di settemila e lei si trovava nella sala operatoria di una clinica ospedaliera. Una paura che è senso di impotenza e che non c’è esperienza che tenga per farla cessare. È una sofferenza aggravata dalla paura di dover soffrire.